L’impronta della tradizione. Intervista a Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari [parte 1]

Sulle scale di Palazzo dei Cogressi a Roma, in un dicembre caldo e assolato, ho conosciuto i fondatori di una delle case editrici più interessanti degli ultimi tempi. La casa editrice in questione è L’orma e loro sono Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari.

Come vi siete conosciuti? Quando è nata la casa editrice?

Lorenzo Flabbi: Marco e io ci siamo incontrati per la prima volta quindici anni fa. Si è trattato di un riconoscimento di affinità elettive, una sorta di «colpo di fulmine». Frequentavamo entrambi il corso di Dottorato in Letterature comparate a Siena. Poi l’amicizia è cresciuta, abbiamo iniziato a frequentarci anche nelle nostre città: Roma e Bologna. Successivamente sono andato ad abitare a Parigi e, nell’arco degli anni, quell’amicizia che poteva essere sfibrata dalla distanza si è consolidata fino a raggiungere il momento in cui entrambi abbiamo scelto di prendere casa a Berlino. Abbiamo vissuto insieme nella capitale tedesca per due anni.

Stavamo a Kreuzberg: un posto aperto, pieno di persone che andavano e venivano. Uno dei grandi vantaggi dell’amicizia è che, a differenza del rapporto di coppia, non sei socialmente indotto a una chiusura rispetto al resto del mondo. Un’amicizia, al contrario, ti apre ad altre realtà.

Curavamo i libri della collana «Le lettere» di una casa editrice di Firenze, Sguardo mobile. Una collana di saggi di letteratura comparata che nasceva da un sito di approfondimento letterario – sguardomobile.it – che dal 2003 al 2007 è stato molto attivo. Confrontandoci sul libro L’idiota di Paolo Febbraio ci siamo accorti che ciò che stavamo facendo era un’operazione di condivisione letteraria: un fenomeno che a quei livelli, con quella capacità di intendersi tutta nostra, ci rendeva reciprocamente più rigorosi. Lavoravamo di più senza renderci conto che stavamo lavorando. A un certo punto abbiamo cominciato a elaborare un possibile progetto ponendoci questa domanda: se non ci fosse nessun ostacolo, quale tipo di casa editrice vorremmo fondare?

La cosa straordinaria è che oggi, a tre anni dall’apertura, L’Orma assomiglia molto a quel germoglio che avevamo iniziato a far crescere nel 2010 a Berlino, tra il divano di casa e la Kneipp – la bettola che si trovava vicino a casa nostra in Schumannstraße. Ci abbiamo pensato a lungo, poi abbiamo smesso di pensarci perché stava diventando un desiderio reale, qualcosa che intercettava dei sogni che c’erano già dentro di noi e che non sapevamo neanche di avere. Ci siamo forzati a non parlarne più. Fino al 31 maggio del 2011, quando ci siamo dati appuntamento a Milano.

Davanti al Duomo, il giorno in cui Pisapia ha vinto le elezioni, ci siamo stretti la mano ripromettendoci anche noi di rendere un po’ migliore la Nazione e il contesto culturale. Fino ad allora avevamo fatto solo ricerca, adesso volevamo dare un contributo concreto.

A un certo punto abbiamo cominciato a elaborare un possibile progetto ponendoci questa domanda: se non ci fosse nessun ostacolo, quale tipo di casa editrice vorremmo fondare?

La cosa straordinaria è che oggi, a tre anni dall’apertura, L’Orma assomiglia molto a quel germoglio che avevamo iniziato a far crescere nel 2010 a Berlino, tra il divano di casa e la Kneipp – la bettola che si trovava vicino a casa nostra in Schumannstraße.

Marco Federici Solari: Mi inserisco qui per raccontare il dettaglio che poi diventa l’emblema sotto il quale abbiamo edificato questa avventura: il nome. Il nome della casa editrice è stata una preoccupazione tardiva. Data la natura del nostro sodalizio, sapevamo che non si sarebbe mai chiamata con i nostri cognomi – anche se spesso in editoria si usa così. Doveva essere qualcosa che ci trascendesse, che avesse un nome diverso dai nostri. Con tutte queste ottime intenzioni abbiamo stilato una serie di ipotesi – una più brutta e improbabile dell’altra! A quel punto abbiamo avuto l’intelligenza di affidarci a dei pareri esterni.

L’idea vincente è stata quella di indire un mini referendum, in cui sottoponevamo quindici nomi a settanta persone fra amici e colleghi. Sono loro che ci hanno salvato. Era un elenco pieno di nomi assurdi come Barbara – dal momento che facevamo le letterature barbare – o Portbou, il paesino di confine sui Pirenei presso il quale Lorenzo e io avevamo fatto un pellegrinaggio letterario perché lì si è suicidato Walter Benjamin. Ma era una storia tristissima, complicatissima, legata a un suicidio. Non dovevamo scordarci che ci stavamo affacciando su di un mondo in cui non era detto che tutti sapessero chi fosse Walter Benjamin… Giustamente alla fine ha vinto L’Orma, che ha una doppia valenza: è l’orma della tradizione nella quale ci volevamo inserire, ma rappresenta anche l’ambizione che avevamo – e abbiamo – di lasciare una traccia nella tradizione stessa. In più, è il risultato della crasi tra le prime sillabe dei nostri nomi.

Giustamente alla fine ha vinto L’Orma, che ha una doppia valenza: è l’orma della tradizione nella quale ci volevamo inserire, ma rappresenta anche l’ambizione che avevamo – e abbiamo – di lasciare una traccia nella tradizione stessa. In più, è il risultato della crasi tra le prime sillabe dei nostri nomi.

Quali sono le caratteristiche de L’orma?

Lorenzo: L’obiettivo era quello di dare forma a una casa editrice in cui ci saremmo occupati di quello che sapevamo. Non ci interessava buttarci nella mischia: aumentare il rumore del mondo non faceva per noi, volevamo semmai restituire socialmente delle competenze acquisite nell’arco degli anni. La letteratura francese e quella tedesca erano quelle che conoscevamo di più non solo per la tradizione, ma anche dal punto di vista contemporaneo.

Marco è un germanista, io con la letteratura francese ho un rapporto privilegiato. La letteratura inglese appartiene al bagaglio culturale di entrambi in maniera molto forte, un po’ meno quella di lingua inglese contemporanea. La natura di una casa editrice si determina anche dalle proposte a cui dici di no. Magari sono progetti interessanti, libri che ti piacciono e che però scegli di non fare. Un po’ come accade nella ricerca. Per Antonio Prete – grande intellettuale, punto di riferimento per me e Marco – fare ricerca è anche l’arte di saper tacere. Questa massima è applicabile in maniera efficace al mondo editoriale.

L’Orma è una casa editrice di progetto, espressione che rientra in una tradizione editoriale che ci ha cresciuto e a cui ci sentiamo affini. Non ragioniamo tanto sui singoli libri, quanto sulle collane. Ogni libro si deve inserire in un progetto più ampio. La collana su cui abbiamo fatto la scommessa principale è quella che poi abbiamo chiamato Kreuzville (la fusione tra Kreuzberg, il quartiere di Berlino dove vivevamo insieme, e Belleville, il quartiere di Parigi dove ho vissuto e che ha avuto un ruolo importante anche nella biografia di Marco). Kreuzville vuole fare libri che presentino al pubblico italiano ciò che – a nostro personalissimo parere – sta accadendo adesso di cruciale in Germania e in Francia: due bacini letterari vastissimi e molto fertili, a volte un po’ snobbati dalla grande editoria.

La sorella maggiore di Kreuzville, la collana Kreuzville Aleph, raccoglie invece quei libri fondamentali della letteratura francese o tedesca che dal punto di vista editoriale sono usciti dal setaccio del tempo. Abbiamo dato spazio a due grandi campioni che prima non esistevano – o avevano poco o nessun peso – in Italia: Uwe Johnson con I giorni e gli anni, uno dei più grandi romanzi della letteratura tedesca del secondo Novecento, e Annie Ernaux.

Ogni libro si deve inserire in un progetto più ampio. La collana su cui abbiamo fatto la scommessa principale è quella che poi abbiamo chiamato Kreuzville (la fusione tra Kreuzberg, il quartiere di Berlino dove vivevamo insieme, e Belleville, il quartiere di Parigi dove ho vissuto e che ha avuto un ruolo importante anche nella biografia di Marco). Kreuzville vuole fare libri che presentino al pubblico italiano ciò che – a nostro personalissimo parere – sta accadendo adesso di cruciale in Germania e in Francia.

Per portare più lontano e far conoscere a un pubblico più ampio il nome de L’Orma, abbiamo pensato a libri che potessero avere un immediato impatto nel mondo del mercato, anche nei confronti dei librai. Un progetto più demotico è ad esempio quello dei Pacchetti: libri pronti per essere affrancati e spediti. All’inizio pensavamo di fare dei pacchi, con libri più voluminosi come Le relazioni pericolose, non a caso un romanzo epistolare (il lettore poteva spedire le lettere che erano state spedite a loro volta nella finzione). Abbiamo realizzato dei prototipi, finché abbiamo ridotto il formato, scegliendo libri più smilzi anche per avere dei prezzi ridotti. Ogni volumetto offre una selezione di epistolari di figure iconiche della letteratura e del pensiero di qualsiasi tempo. Il taglio è iconoclasta, è importante rendere sempre evidente quell’ambizione di continuare a fare ricerca anche se stiamo proponendo testi più facilmente reperibili sul mercato.

Una delle vostre autrici di punta è Annie Ernaux. Come vi siete imbattuti nelle sue opere?

Lorenzo: Ho abitato a lungo in Francia, conoscevo già le opere di Annie Ernaux. Per noi è stata una bella sorpresa passare al setaccio la sua bibliografia e scoprire che Il posto – un classico studiato nelle scuole d’Oltralpe – non fosse ancora stato tradotto in Italia. Ma facciamo un passo indietro.

Nel 2008 io abito ancora a Parigi, quando in Francia esce Gli anni. Diventa subito un libro di cui tutti parlano, e non solo. Riceve un’ovazione da parte degli intellettuali, mettendo d’accordo tutti laddove – in precedenza – aveva un po’ diviso il mondo della critica per questioni tematiche. L’intera nazione adesso si riconosce, si commuove. Da editore non ancora nato, embrionale, abbiamo pensato che Gli anni fosse già stato tradotto da marchi come Adelphi, o Einaudi, invece scopriamo che non c’è. Certo la sua pubblicazione in Italia è un merito nostro, ma insieme c’è anche la fortuna di aver approfittato di un demerito altrui.

Editore, ma anche traduttore. Lorenzo, come sei riuscito a restituire la voce di Annie Ernaux?

Lorenzo: Piallando. Perché la lingua di Ernaux è talmente precisa, talmente puntuale; le scelte lessicali sono sempre pertinenti, inserite in una struttura sintattica così tersa… C’è tutta una gamma di termini che si possono utilizzare: asciutta, epurée, epurata, non sentimentale, non aggiunta. Essenziale. Un consiglio di scrittura che affonda le radici tanto nella tradizione letteraria quanto nei corsi di scrittura è: non usate mai parole di troppo. Ecco, nei suoi testi non ce ne sono mai. Traducendo, a volte, si aggiunge, si riformula. È un modo per entrare nel testo linguistico, ma anche poetico e ritmico della lingua d’approdo. Nel caso di Ernaux le mie prime versioni erano sì dense, ma in maniera diversa… A volte risultavano un po’ grumose: ho quindi dovuto piallare come un fabbro colpisce a martellate la lastra metallica (la mia lingua) per appianare i bozzi, ma anche come fa un cuoco con un mattarello per ottenere la sfoglia. Gli anni e Il posto hanno questo in comune: la ricerca di una voce – che poi è la cosa più importante. Il tono, il ritmo: sono gli elementi che fanno la differenza in letteratura.

Nel caso di Ernaux le mie prime versioni erano sì dense, ma in maniera diversa… A volte risultavano un po’ grumose: ho quindi dovuto piallare come un fabbro colpisce a martellate la lastra metallica (la mia lingua) per appianare i bozzi, ma anche come fa un cuoco con un mattarello per ottenere la sfoglia.

Sia il tono sia il ritmo sono molto evidenti in Ernaux, tanto ne Il posto quanto ne Gli anni. In più in quest’ultimo si è innervata un’ulteriore problematica, ovvero quella dei riferimenti molto ovvi per i lettori francesi che ho tentato di rendere incorporando nel testo le difficoltà interpretative meno scontate per chi leggeva in italiano. Un po’ di questi accorgimenti, a volte più leggeri, sono stati necessari perché il lettore italiano potesse godere appieno del testo.

Fotografia © Elena Vozzi

 

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