Da grande. Intervista a Jami Attenberg #3

Non so quale sia il vostro, ma il mio personalissimo concetto di diventare grande ha coinciso più volte con quello di prendere un treno. È proprio per questo motivo che incappare, nelle primissime righe di questo libro, nella parola «pendolare» mi ha strappato più di un sorriso. E mi ha reso subito vicina alla protagonista di Da grande.

Quarant’anni, single, aspirante artista: Andrea vive a New York, in un appartamento che dà sull’Empire State Building. Saltella da una relazione all’altra stando ben attenta a non avvicinarsi troppo a chi le vuole bene – che sia la madre apprensiva, la nipotina gravemente malata o un nuovo amore. Insomma, Andrea è l’antitesi di tutto ciò che la società indica come via corretta per l’età adulta.

Io e Jami ci eravamo lasciate due anni fa con una promessa. E quale promessa è più dolce di una storia da leggere? La Attenberg è tornata a me (e a tutti i suoi lettori) con una nuova uscita targata Giuntina.

Dopo Edie e Mazie ora tocca ad Andrea. Una delle tue capacità più grandi è quella di regalarci sempre personaggi umanissimi. Ma se la dovessi descrivere tu, Andrea, quali aggettivi useresti?

Sveglia, sexy, ferita.

Leggere Da grande significa vivere nella testa di Andrea per 160 pagine. Devo confessartelo, a volte avrei voluto ammazzarla con le mie mani. È un totale disastro. Amorevole, eh. Ma un disastro. Poi mi sono detta che un po’ lo siamo tutti. Per creare questo effetto hai scelto la prima persona, in un flusso di coscienza totalizzante.

Volevo che il libro assomigliasse a una sorta di memoir, proprio come se fosse la stessa Andrea a raccontare una sua verità, una sua versione dei fatti. E mi piaceva l’idea che lo stesse facendo come se parlasse a un amico. Volevo che sembrasse autentico, credibile: scrivere in prima persona offre questo tipo di opportunità. Ci sono una valanga di strade che, da scrittore, ti precludi optando per la prima persona, ma la cosa più sensata che puoi fare è rendere la voce del tuo personaggio il più possibile viscerale e concreta.

Andrea disegna, tu scrivi. Lei quando è a corto di ispirazione si mette a guardare l’Empire State Building fuori dalla finestra, tu invece? La curiosità mi spinge a chiederti se esista qualcosa di simile nella tua vita artistica.

In questo preciso momento, ti direi la papaya che ho nel retro del mio giardino. L’ho vista crescere: da una piccola pianticella si è trasformata in un gigante alto 12 piedi (3 metri e mezzo ndr). Spesso alzo lo sguardo dal mio pc – la mia postazione dà proprio sul retro del giardino – e ammiro la papaya in tutto il suo splendore.

È tradizione, ormai. Non posso lasciarti andare senza chiederti qualcosa sul libro che hai appena consegnato al tuo editore americano… 

Cosa posso dirti? Ecco, sì. Te lo posso riassumere così: ha per protagonista un uomo, un uomo ricco, che ha vissuto la sua intera esistenza da uomo ricco, facendo tutte le cose peggiori che di solito fanno gli uomini ricchi. E che ora sta per morire.

Ma tu, da grande, cosa volevi fare? 

La scrittrice. Sempre.

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