Dimenticare. Intervista a Peppe Fiore

Un bosco, due fratelli, un segreto. Siamo a Trecase, una piccola comunità dell’alto Lazio. Dove, in un passato non troppo lontano, si dice che una ragazza sia stata sbranata da un orso. Daniele, dopo una vita passata a lavorare in un lido balneare di Fiumicino decide, da un giorno all’altro, di mollare tutto e scappare per rifugiarsi proprio in quel bosco silenzioso. Ma scappare da chi? O da cosa? Parte da qui Dimenticare, il nuovo romanzo di Peppe Fiore (Einaudi, pp. 200, 18,50 euro). Nato a Napoli nel 1981, Fiore affianca alla scrittura dei romanzi (La futura classe dirigente, minimum fax 2009; Nessuno è indispensabile, Einaudi 2012) la professione di sceneggiatore. Ha lavorato come story editor per la serie tv The Young Pope di Paolo Sorrentino, e ha scritto il poliziesco di Rai Tre Non uccidere.

«Un luogo ideale per custodire un segreto». Hai così definito il bosco di Subiaco che ti ha ispirato la location in cui hai ambientato Dimenticare. Cosa ti ha fatto capire di essere nel posto giusto? Ti è successo come nel romanzo, il bosco ha forse sussurrato il tuo nome?

No, per fortuna il bosco di Subiaco non ha sussurrato il mio nome: i boschi, in particolare quello di Dimenticare, sussurrano solo ed esclusivamente i nomi dei morti. Sentire il mio lì sarebbe stato inquietante. Però mi ha parlato, quello sì. A tutti è capitato almeno una volta di trovare misteriosamente familiare un posto sconosciuto – con un’epifania che accade più spesso nei sogni. Quello specifico bosco, il suo senso di abbandono, il silenzio solenne e soprattutto la luce immobile, conteneva qualcosa che sapevo già, e che in qualche modo mi richiamava a me stesso. Più che ritrovarmi in un luogo conosciuto, è stato come riconoscermi.

Nato come libro di plot, hai avuto bisogno di trovare una voce per raccontare la storia di Daniele e Franco. Come l’hai trovata?

Come nei precedenti romanzi: attraverso le riscritture. Sono state almeno sette o otto, come ben sa il mio editor Marco Peano, vero nume tutelare e santo protettore del romanzo. In questo libro in particolare volevo una voce molto calibrata, con un ritmo della pagina molto preciso: scandito e asciutto, con degli squarci di lirismo che non dovevano appesantire il flusso del racconto. Un effetto che avrei ottenuto solo rileggendo, limando e asciugando, e poi ripartendo da capo. Perciò fino alla quarta o quinta stesura ho riscritto sempre tutto il romanzo parola per parola, anche se la storia nella sostanza c’era già – pensavo fosse una cosa da psicopatico, invece ho appena scoperto che lo fa anche Ken Follett, che evidentemente psicopatico non è, quindi posso fare serenamente outing. La voce è stato il risultato di questo lavoro.

Da Daniele – il più razionale e concreto dei due fratelli protagonisti – a Franco – l’altra metà, mercuriale e imprendibile –, passando per l’uomo del camper (un tenerissimo personaggio secondario), ogni figura sembra nascondere qualcosa.

Sì, hanno più o meno tutti un angolo buio, o più precisamente quella famosa «bestia addormentata, con un occhio chiuso e l’altro aperto». Questa della bestia è un’immagine che mi sta molto a cuore, penso che un buon modo per capire un essere umano sia guardare cosa c’è dentro il recinto che si è costruito nella testa. Poi, sono tutti abbastanza silenziosi (tranne forse Franco, il fratello di Daniele, che però vediamo solo attraverso i ricordi del protagonista e nei racconti altrui). È una storia di uomini che parlano poco – che poi sono quelli che preferisco anche nella vita quotidiana.

Dimenticare è un romanzo visivo. Le atmosfere che si respirano fanno pensare ad alcune delle serie tv più recenti (Twin Peaks o True detective). Come il ragionare sulle storie, siano essere scritte per essere rappresentate o stampate, ti ha influenzato durante la stesura del romanzo?

Per me il lavoro di sceneggiatore e, in generale, il lavoro sulle serie tv (e sottolineo: sulle serie più che sul cinema, che di suo ha modelli di narrazione più lineari), è stato fondamentale per formarmi come romanziere. Innanzitutto e soprattutto, prima ancora che nelle tecniche, nell’approccio alla scrittura come mestiere – vorrei dire nella deontologia. Il lavoro sulle serie è sempre un lavoro di gruppo, su più livelli, e ti costringe a maturare una forma di laicità verso le tue idee, a non affezionartici troppo, a metterle continuamente in discussione. Scrivere un romanzo è un’attività  solipsistica – in parte, io come tanti, me la sono scelta anche per quello – che proprio per questo sfiora pericolosamente l’autismo: un giro dentro un writers room è una di quelle docce fredde che qualsiasi romanziere dovrebbe fare almeno una volta nella vita. Sulla tecnica, Dimenticare è influenzato dalla scrittura seriale su vari livelli: per gli elementi di genere – che forse vengono dal cinema più che dalla tv – per la scelta deliberata di non entrare nella testa dei personaggi ma di demandare tutto all’azione e ai dialoghi, e sulla costruzione delle scene che partono sempre dagli ambienti. Su questo punto, la scelta deliberata era che gli ambienti fossero in qualche modo espressione dell’emotività dei personaggi: tutto quello che si vede racconta come si sentono i personaggi in quel momento. Ciò detto, un romanzo è un romanzo e una serie è una serie, sono mondi diversi. Anche perché quando lavori su una serie sai che la sceneggiatura contribuirà al risultato finale solo per una piccola parte: nel romanzo invece sei sceneggiatore, regista, direttore della fotografia e con un minimo di furbizia puoi metterci anche le musiche. Meglio di così…

La copertina di un Supercorallo a pagina piena, con l’illustrazione di Massimo Carnevale – copertinista di Dylan Dog – è una scelta audace, ma di fortissimo impatto. Ci racconti come è nata?

Soprattutto dal coraggio della casa editrice. Dopo una serie di prove più «tradizionali», Einaudi ha proposto l’idea di una copertina più grafica, affidata a un illustratore. A me l’idea di una copertina che evocasse quasi la graphic novel piaceva molto perché la sentivo in linea con lo spirito del romanzo. Quasi subito mi è venuto in mente il nome di Carnevale, un genio assoluto del fumetto italiano che, però, non aveva mai lavorato per Einaudi e in generale frequenta poco l’editoria libraria. Einaudi ha raccontato a Massimo il romanzo e lui, praticamente subito, ha proposto l’idea geniale dell’uomo con il bosco sulla schiena, che rappresenta perfettamente la storia. Non era per niente scontato che Einaudi scommettesse su una copertina così diversa dallo stile dei Supercoralli: è stata una congiuntura astrale felice. E siamo tutti molto felici del risultato.

Zero spolier. Ma ti chiedo lo stesso: la bestia che dorme dentro di te è un orso o un cane giallo?

La bestia che dorme in me ahimè non è un orso e non è un cane, è praticamente uno zoo. Ma scrivere i romanzi mi serve in parte anche a questo, a guardare in faccia questo caravanserraglio di bestie e magari a liberarne qualcuna. Con Dimenticare in effetti qualcosa si è mosso. Diciamo che se il volume della scrittura è proporzionale agli animali che contengo, posso stare tranquillo di avere materiale almeno per altri venti romanzi.

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