I compiti delle vacanze

C’era un rito che sanciva le mie estati da adolescente. Niente vento tra i capelli, sole in faccia, sabbia tra le dita. Dovete immaginarmi con gli inseparabili occhialetti rossi e un sorriso malinconico. All’epoca le mie estati iniziavano con una lunga telefonata alla mia storica compagna di banco G.

«Come le spartiamo quest’anno? Le prime quindici tu? Tiriamo a sorte? Tutto, ma non Tucidide».

Una volta pianificata la divisione delle versioni di greco e latino, uscivo di casa per andare alla fermata dell’84. Un autobus che, a riguardarlo adesso – mentre compie imperterrito lo stesso percorso da anni, ora che io me ne sono andata dalla mia città di mare – fa quasi tenerezza. Compatto abbastanza da non temere le aspre salite in contromano di via Amarena, sgangherato abbastanza da sobbalzare alla prima buca di Corso Sardegna. Quella fermata nascosta tra i platani verdi era il mio personalissimo binario 9 e ¾. Il mio portale magico verso il mondo.

Brignole assolata mi aspettava: decidevo di percorrere a piedi l’ultimo pezzo di strada. C’era qualcosa di catartico nell’abbandonarsi – dopo – al tepore dell’aria condizionata della libreria. Perché era lì che mi dirigevo. Quasi in cima a via XX settembre, poco prima che si spalanchi maestosa su Piazza De Ferrari, c’era la Feltrinelli di Genova. Nei miei ricordi era su due piani (più uno sospeso). Erano ancora lontani gli anni delle bancarelle, dei polpastrelli pieni di polvere, degli starnuti, delle contrattazioni sul prezzo. Quando varcavo la soglia della Feltrinelli avevo un solo obiettivo: sbarazzarmi il più velocemente possibile dai compiti delle vacanze. Le letture obbligatorie mi creavano prima un vago senso di malessere, poi l’ansia di voler dimostrare a ogni costo di essere la più brava. «Li leggerò tutti, sarò l’unica della classe ad averli letti», era il mio grido di battaglia. Del resto leggere – anche e soprattutto in quegli anni – era l’unico mio superpotere.

Poi la quiete. Perché una volta concluso il giro, scovate tutte le edizioni più economiche dei titoli richiesti, contati i soldi che mi rimanevano nel portafoglio, allora c’ero io. Il tempo dell’adolescenza è stato per me un tempo confuso anche in fatto di letture. Alternavo qualche giallo di Agatha Christie (di cui ero ghiotta da bambina) a Sophie Kinsella e Carlos Ruiz Zafón, per poi gettarmi più o meno obbligata su Verga, Dostoevskij, Flaubert, Tomasi di Lampedusa, Zola… Non sapevo bene neanch’io cosa cercassi tra quegli scaffali. Eppure la libertà di quelle letture mi rimane ancora addosso.

Per questo motivo i miei compiti delle vacanze non prevedono liste interminabili di consigli su cosa leggere, ascoltare, vedere, dire, fare, bacia… ah no. Prendetevi il tempo per avere tempo, per pensare che ancora sia possibile trovare la felicità in una storia sconosciuta.

Che sia un’estate di libertà. Ovunque voi siate. Ci vediamo a settembre,

 

Francesca

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