Traffico, cene rovinate e addii. Intervista a Bret Anthony Johnston

È stato uno dei casi letterari dell’estate: Ricordami così (Einaudi, traduzione di Federica Aceto, pp. 468, 21 euro), opera prima dello scrittore americano Bret Anthony Johnston, ha conquistato i lettori italiani partendo dalla rete. Un fenomeno virale nato su Twitter, che ha messo in luce quanto i social – se sapientemente utilizzati – possono rivelarsi fondamentali nella promozione di un romanzo.

Southport, immaginaria cittadina sulla costa Sud del Texas, a poche miglia dalla reale Corpus Christi. Justin Campbell, undici anni, esce di casa con il suo amato skateboard – passione che lo accomuna allo scrittore – e scompare.

Dopo mesi di ricerche, segnalazioni, volantini sbiaditi dal sole, false piste e speranze disattese, la famiglia Campbell – il padre Eric, la madre Laura, il fratello minore Griff, e il nonno Cecil – cerca di tirare avanti. Chi rifugiandosi in una relazione extraconiugale, chi annullandosi nel volontariato in un delfinario, chi crescendo faticosamente e chi facendo di tutto per nascondere il proprio dolore.

I giorni si susseguono, cominciano a diventare mesi, i mesi si trasformano in anni. Quattro, per l’esattezza. E in una di quelle che a prima vista sarebbe potuta sembrare l’ennesima afosa giornata estiva, accade il miracolo. La polizia ritrova Justin. Parte da qui, da questo inaspettato e tanto atteso ricongiungimento, il romanzo di Johnston. Parte da quello che molti scrittori avrebbero usato come lieto fine. Una scelta rischiosa, ma non azzardata. Perché Bret Anthony Johnston sa maneggiare una materia incandescente. Con un’attenta introspezione psicologica, e uno sguardo struggente ma mai compassionevole, l’autore costruisce un storia innervata da segreti, sensi di colpa e non detti. Un testo sul perdersi e sul ritrovarsi. O, come lo ha definito il “New York Times“, non un thriller e neppure un giallo, a meno che l’unico mistero da risolvere sia capire come possiamo accettare e amare le persone che compongono la nostra famiglia, senza conoscerle completamente. 

Prima di diventare uno scrittore è stato uno skater. Come ha influenzato questa disciplina la sua vita e la sua scrittura?

Sono stato uno skater per trent’anni, e per un’estate ho girato l’America con un team di skaters. Lo skateboard è una delle passioni della mia vita, e la sua influenza è onnipresente. Guardo il mondo come uno skater e uno scrittore, ed è sorprendete quanto queste prospettive siano simili. Sono un po’ masochista in entrambi i campi, quasi inarrestabile. Tendo a non arrendermi. Anzi, continuo imperterrito verso l’obiettivo: non importa quanto ci vorrà o quanto sarà doloroso. Mi sorprendo sempre quando le persone lasciano a metà qualcosa; non è un’opzione che prendo spesso in considerazione, e quando vedo qualcun altro arrendersi, sono confuso. Molte persone tendono a scoraggiarsi davanti agli ostacoli più piccoli. Io rileggo e riscrivo alcune frasi cento volte piuttosto che eliminarle, e quando si trattava di imparare i tricks – le acrobazie da skater – ci ho lavorato su per anni. Se ne vale la pena, come skater o come scrittore, sono preparato a impiegare tutto il tempo necessario.

A prima vista possono sembrare due attività molto lontane: cosa hanno in comune?

Cosa non hanno in comune? Per me sono due attività quasi identiche. Entrambe richiedono pazienza, dedizione e immaginazione. Entrambe ti lasceranno ricoperto di lividi e sanguinante, letteralmente e metaforicamente. E se ciò non accadesse, probabilmente vuol dire che non stai rischiando abbastanza. Skaters e scrittori osservano il mondo diversamente dalle altre persone. Dove chi non è avvezzo allo skateboard vede dei semplici marciapiedi danneggiati, balaustre e scale, gli skaters vedono inviti e possibilità per sperimentare nuovi tricks. Dove chi non scrive vede traffico, cene rovinate e addii, gli scrittori vedono storie e poesie. Inoltre, entrambe le attività costringono a confrontarti con una grande quantità di frustrazione, e di incorporarla in un processo catartico che possa stimolarti ulteriormente, anziché ostacolarti. Andare sullo skateboard, proprio come la scrittura, è uno sforzo da compiere in totale autonomia; e la scrittura – come lo skateboard – è un’ossessione. Entrambe le attività diventano ancor più difficili man mano che si va avanti, ma, al tempo stesso, regalano momenti di incredibile adrenalina. Molti sostengono che la scrittura e lo skateboard siano modi diversi per esprimere se stessi. Non sono d’accordo. Credo invece che siano un modo per sfuggire da noi stessi.

Skaters e scrittori osservano il mondo diversamente dalle altre persone. Dove chi non è avvezzo allo skateboard vede dei semplici marciapiedi danneggiati, balaustre e scale, gli skaters vedono inviti e possibilità per sperimentare nuovi tricks. Dove chi non scrive vede traffico, cene rovinate e addii, gli scrittori vedono storie e poesie.

Veniamo ora al suo primo romanzo. Ricordami così si apre con quello che molti scrittori avrebbero usato come happy ending: Justin, dopo anni di abusi lontano dalla sua famiglia, viene ritrovato e ritorna a casa. Da dove è nata l’idea per questo libro e, in particolare, questo incipit?

Ripensando alla stesura del romanzo, mi rendo conto di quanto fossi interessato al dopo. È vero, non volevo descrivere gli abusi subiti da Justin, non ero interessato al passato; ero invece profondamente affascinato da come gli abusi e il passato stesso gettassero un’ombra e influissero sul presente, sul futuro dei Campbell. Sfortunatamente, siamo abituati a sentire molti casi di cronaca simili a quello raccontato nel romanzo, ma non ero a conoscenza di una narrativa che esplorasse il dopo, indagasse su cosa accade quando i maltrattamenti finiscono. Ho scritto Ricordami così con l’intenzione di sondare quel territorio, di vedere che fine avrebbero fatto i protagonisti della vicenda. Come autore, cerco di scrivere spingendomi sempre verso ciò che non conosco. Inoltre, tendiamo a pensare al periodo conseguente un fatto drammatico in termini negativi, ma esso implica una nuova crescita, una nuova vita. Anche se all’epoca non lo sapevo, ora mi è molto chiaro.

Infatti il romanzo è costruito su zone d’ombra. Non sappiamo quasi nulla dei quattro anni di abusi subiti dal protagonista. 

Sappiamo già cosa succede ai bambini vittime di rapimenti e abusi: indugiare su dettagli simili sarebbe sembrato ricattatorio, probabilmente anche superfluo. Justin non è ancora pronto ad aprirsi, a raccontare quello che gli è successo. Alcuni lettori sostengono che io abbia omesso quegli orribili particolari in modo tale da far sembrare la prigionia di Justin ancor più terrificante, perché quello che il lettore avrebbe immaginato sarebbe stato infinitamente peggiore di quanto in realtà era accaduto. Non penso sia l’interpretazione corretta. Personalmente credo che pochissime persone possano comprendere fino in fondo l’orrore subito da quei bambini. Il vero problema è che Justin ha attraversato l’inferno, ma non è ancora pronto a parlarne. Il lettore e, in un certo senso, lo scrittore dovevano essere nella stessa posizione della sua famiglia. Volevo che tutti noi percepissimo quello che i Campbell stavano provando: essere costretti a convivere con degli interrogativi irrisolti.

Skater, scrittore ma anche insegnante ad Harvard, dove dirige il dipartimento di scrittura creativa. Qual è la prima caratteristica che nota nei suoi studenti? E quali sono gli insegnamenti più importanti che cerca di trasmettere ai giovani scrittori?

I miei alunni sono una fonte continua d’ispirazione. Lascio i vari workshop impaziente di tornare a casa per leggere i loro lavori e poi mettermi scrivere. La prima cosa che noto è quanto siano appassionati questi giovani scrittori. Non hanno paura di revisionare la storia più e più volte o di avventurarsi in territori rischiosi sia dal punto di vista creativo che emotivo. Quello che voglio dai miei studenti è che abbiano chiaro quanto il mondo renderà incredibilmente facile scegliere di NON diventare scrittore; se la scrittura davvero conta per loro, però possono far sì che il mondo si pieghi davanti alla loro arte. In molti modi, al di là degli elementi del mestiere e della capacità di leggere un testo con la sensibilità di uno scrittore, spesso ai miei studenti insegno la pazienza, li invito a onorare e a immergersi totalmente nelle proprie ossessioni. Insegno la testardaggine, la resilienza.

Quello che voglio dai miei studenti è che abbiano chiaro quanto il mondo renderà incredibilmente facile scegliere di NON diventare scrittore; se la scrittura davvero conta per loro, però possono far sì che il mondo si pieghi davanti alla loro arte.

Si è definito masochista e inarrestabile nella scrittura. Immagino stia già lavorando a un nuovo progetto.

Sto finendo una raccolta di racconti, e sto iniziando un nuovo romanzo. Sono in quella zona di confine in cui felicità e paura s’incontrano: un posto bellissimo dove trovarsi se sei uno scrittore.

 

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