Storie feline. Il gatto venuto dal cielo di Hiraide Takashi

Se nelle esistenze di ognuno di noi c’è un animale guida, uno spirito che protegge – un patronus, come direbbe J. K. Rowling -, allora il mio non potrebbe che essere un gatto. Sono cresciuta sotto lo sguardo attento e curioso dei felini: il loro succedersi ha scandito le fasi dell’infanzia, della crescita e della mia vita adulta.

Menelich l’ho conosciuto soltanto in foto, e grazie ai racconti di mia mamma: un gattone rosso – capostipite di tutti i quattro zampe che sarebbero venuti dopo – che le teneva compagnia quand’era bambina. Il primo gatto vero e proprio è arrivato insieme ai miei quattro anni: Titti, un ammasso rachitico di pulci. Era un animale schivo e diffidente, ma di fatto è stata la mia primissima compagna di giochi. Sarebbe rimasta con me fino all’adolescenza. Un giorno, invece, incontrai Trilly. Era l’estate dei miei nove anni, quando la salvai raccogliendola tra i campi di grano della Pianura padana. Purtroppo dovetti separarmene subito dopo: imparai allora che, a volte, non sempre la cosa giusta può essere fatta. E infine nel 2007 ho scelto (o forse è stata lei a scegliere me) Ariel, ritratta sorniona nella foto che vedete: un concentrato di coccole e dolcezza.

Quando mi sono trasferita a Torino ho temuto di spezzare l’incantesimo. Nella piccola mansarda all’ultimo piano del palazzo non c’era posto per un amico a quattro zampe.
Ma all’improvviso, durante un pomeriggio di inizio autunno, sento dei maigolii. Entra dalla mia finestra una gatta magra, curiosa, bellissima. Salta spavalda sopra il letto, esigendo carezze e attenzioni. La battezzo subito Righina, e in suo onore decido di iniziare a leggere un libro che – perfetto in questo International Cat Day – mi aveva conquistata fin dalla copertina: Il gatto venuto dal cielo di Hiraide Takashi  (Einaudi, traduzione di Laura Testaverde, pp. 140, 18 euro).

Un gatto entra nella vita dei protagonisti di questo romanzo (proprio come nella mia) con la precisa intenzione di scombussolarla. È la piccola Chibi che – apparendo un giorno nell’ampio giardino, bianca come una nuvola – irrompe nella quotidianità di una giovane coppia. È con un costruirsi di gesti quotidiani, di piccoli riti scanditi dall’arrivo del felino, che i due umani mettono a fuoco tutto ciò che li separa, e recuperano forse l’affetto reciproco.

Nella scrittura soave di Hiraide Takashi prende vita un personaggio a tutto tondo, con un carattere ben definito. Chibi è testarda, orgogliosa e indipendente: chi gode della compagnia di un animale sa bene di cosa sto parlando.

Un romanzo raffinato e agrodolce, nella piena tradizione delle narrazioni giapponesi, che in poche intensissime pagine racconta tutto: la vita, la morte, l’amore. E ci ricorda che, non importa per quanto o in che modo, chi incrocia il proprio destino con quello di un gatto ne uscirà cambiato per sempre.

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