Tutti pazzi per Mazie. Intervista a Jami Attenberg #2

Due anni fa ho scattato una foto. Posate e bicchieri disposti ordinatamente sulla tavola; al centro, al posto del piatto, un libro. S’intitola I Middlestein, e racconta di una famiglia. Di una donna, Edie, che non riesce a smettere di mangiare. Racconta di cosa voglia dire amare qualcuno che non ama se stesso. Un romanzo divertente, commovente, profondamente umano. Quella foto – un po’ inaspettatamente – fa il giro dei social, arrivando perfino a essere condivisa dall’autrice stessa, la newyorkese Jami Attenberg. Al che ne approfitto per scriverle, per mandarle qualche domanda via mail – il blog era ancora agli inizi, non avevo mai contattato uno scrittore straniero. Lei in tempo record mi risponde, esce l’intervista.

La mia felicità come potete immaginare era alle stelle, ma rimaneva un rimpianto. Come sarebbe stato se, invece di qualche riga via mail, l’avessi potuta incontrare? Magari in un caffè di Milano, una soleggiata mattina di settembre? Ora ve lo posso dire, come sarebbe stato. Esattamente come leggere un suo libro: divertente e commovente.

Incontro Jami Attenberg, in compagnia del suo editore Shulim Vogelmann, in occasione dell’uscita della sua ultima fatica letteraria, Santa Mazie (traduzione di Paola Candela Buscaglione, pp. 300, 16,50 euro). Siamo a New York, negli anni della Grande Depressione. Mazie Philips è una ragazza dal cuore grande, che vive con le due sorelle e il cognato. Passa le giornate a vendere biglietti al Cinema Venice, a osservare la gente. Di notte, invece, è la strada a essere la sua casa, il cielo le sue pareti. Va in giro in cerca di avventure, non disdegna l’alcol, si getta fra le braccia di un uomo diverso ogni sera. Il suo nome è rapidamente sulla bocca di tutti: non c’è bambino, uomo o donna che non conosca Mazie, la Regina del quartiere.

Sembra che fosse impossibile non rimanere affascinato da Mazie e dalla sua storia. Quando hai deciso che ne avresti scritto un libro?

Un mio amico stava aprendo un bar, a Brooklyn. Aveva già deciso che il nome del locale sarebbe stato Saint Mazie. Gli ho chiesto il perché. «È la persona più vicina a una santa di cui abbia mai sentito parlare», mi ha risposto secco.

Allora mi è venuto spontaneo domandargli chi fosse questa donna che l’aveva stregato, e quale fosse la sua storia. È così che ho conosciuto Mazie Phillips-Gordon, la Regina della Bovery, scomparsa l’11 giugno del 1964. Istantaneamente ho subìto anch’io lo stesso tipo di incantesimo: sono stata sedotta dalla sua figura. Mi sono messa a cercare informazioni e ho trovato un solo saggio. L’ho letto da cima a fondo, ma nonostante questo non riuscivo a smettere di pensare a lei. Così mi sono detta: «Sì, devo scriverci un libro. Non so se funzionerà, ma l’unica è provarci». Nel frattempo stavo dando alle stampe I Middlestein, e sono stata presissima dagli impegni legati alla promozione. Quando mi sono rimessa a scrivere la storia di Mazie ho capito che non avrei potuto smettere.

Leggendo il romanzo si ha l’impressione di camminare con Mazie per le strade di New York. Come sei riuscita a restituire l’atmosfera che si respirava durante la Grande Depressione?

C’erano solo quattro articoli su di lei. Nient’altro. Quindi le ricerche che potevo fare erano abbastanza limitate. Potevo invece documentarmi sul periodo storico, quello sì. Ho visitato il Tenement Museum – il museo che include gli appartamenti restaurati in cui sono vissuti diversi immigrati tra il 1869 e il 1935. Ho letto moltissimi libri, ho visto altrettanti documentari. Mi sono imbattuta in un sito incredibile, dove erano disponibili dei file audio del periodo, e ho passato intere giornate ascoltandoli. Il mio intento era quello di far precipitare il lettore nella stessa stanza di Mazie – ma al contempo non volevo fare troppe ricerche, descrivere la tappezzeria troppo minuziosamente, cose così… Non è stato un lavoro superficiale, ma non volevo neanche passare anni e anni accumulando informazioni. Volevo vedere cosa aveva visto lei, volevo sostituirmi ai suoi occhi: a quel punto, e solo a quel punto, le mie ricerche sarebbero finite.

Istantaneamente ho subìto anch’io lo stesso tipo di incantesimo: sono stata sedotta dalla sua figura. Mi sono messa a cercare informazioni e ho trovato un solo saggio. L’ho letto da cima a fondo, ma nonostante questo non riuscivo a smettere di pensare a lei. Così mi sono detta: «Sì, devo scriverci un libro. Non so se funzionerà, ma l’unica è provarci».

Ma avrai visto delle foto, o cercato di contattare qualcuno che l’avesse conosciuta…

No, non mentre stavo scrivendo il libro. Non avevo trovato nessuna sua foto: è stata la mia editor a scovarne una. Ma ero già parecchio avanti nella scrittura, e Mazie nel libro non era descritta granché fisicamente. Così ho deciso; avrei aspettato. E l’ho fatto. Ho aspettato fino a quando ho consegnato la bozza definitiva. A quel punto, la mia editor mi ha rassicurata: «Non sei obbligata, puoi ancora decidere di non vederla, se non vuoi».

«No, no, la voglio vedere! La voglio vedere!» ho esclamato, divorata dalla curiosità.

Il fotografo che, anni prima, aveva scattato quella foto purtroppo era morto, ma sono riuscita a mettermi in contatto con la donna che gestisce il suo patrimonio. Una settimana dopo, quella stessa donna mi ha chiamato, dicendomi che un arzillo ometto di 82 anni che aveva conosciuto Mazie stava cercando qualche informazione in più su di lei. Così ci siamo messi in contatto. L’ho conosciuto. Ci siamo parlati. Abbiamo perfino spettegolato su quella donna – aveva un fidanzato? era davvero così eccentrica? perché aiutava gli altri? «Perché aveva un cuore grosso come una casa, – mi ha confessato lui. – Era una persona speciale. Mi sembra impossibile che qualcuno ci abbia messo così tanto a decidere di scrivere un libro su di lei».

Ma tutto questo, appunto, è successo solo dopo aver finito il libro. È stato commovente e strano insieme: una donna che non l’aveva mai conosciuta e che aveva deciso di incentrare totalmente su di lei il suo nuovo romanzo, e un uomo ormai anziano che ne era rimasto così affascinato da pensarci tutti i giorni, ma che, di fatto, non la vedeva da cinquant’anni. Eppure eccoci lì, che parlavamo entrambi di Mazie, di questa donna straordinaria… Se ci pensi è il tipo di miracolo che solo le storie possono far accadere. Un incontro non molto lontano dal nostro: due donne in Italia che parlano di Mazie Phillips-Gordon. Sorrido pensando al fatto che sì, volevo scrivere un libro, ma volevo ancora di più che il maggior numero di persone possibili, attraverso le mie parole, la conoscesse. Devo ammettere che il mio piano sta proprio funzionando.

Eppure eccoci lì, che parlavamo entrambi di Mazie, di questa donna straordinaria… Se ci pensi è il tipo di miracolo che solo le storie possono far accadere. Un incontro non molto lontano dal nostro: due donne in Italia che parlano di Mazie Phillips-Gordon.

Hai modificato qualcosa nel libro dopo aver visto la foto?

Osservandola mi sono accorta della forma particolare delle labbra: non le avevo descritte per niente. Il primo istinto è stato quello di rimettere mano al testo, ma poi ho pensato che ci sarebbero state due Mazie. La donna che aveva vissuto realmente, e il mio personaggio. Ecco perché, alla fine, ho deciso che non avrei cambiato nulla. Per quanto riguarda l’incontro con l’arzillo ottantaduenne, ecco, lui non è stato in grado di darmi molte informazioni utili. Mi ha raccontato qualche aneddoto divertente, certo… Del resto, ho potuto conoscere solo le persone che erano state bambine quando lei era in vita. Mazie aveva un occhio di riguardo per i più piccoli: andava in giro sempre munita di caramelle, che elargiva con la generosità per cui era famosa. Ho parlato con una ex insegnante di scuola: mi ha raccontato la bontà d’animo con la quale Mazie era solita aiutare gli altri, ma anche quanto, di fatto, fosse un tipo fuori dagli schemi.

Ho perfino ricevuto un’email di una donna che mi diceva che Mazie si truccava moltissimo. Vestiti sgargianti, pellicce appariscenti, capelli all’ultima moda: era eccessiva in ogni dettaglio. Tanto che è entrato nell’uso comune indicare come una «mazie» chi si acconcia in modo vistoso. Caratteristica che non ho voluto inserire nel libro. Perché? Semplicemente perché non immaginavo il mio personaggio così.

Mazie era una donna eccentrica, e per racchiudere tutte le sue anime hai adottato una struttura molto particolare. Nel libro si alternano frammenti del suo diario, scritto in prima persona, interviste fittizie ed estratti da un’autobiografia altrettanto inventata. 

Ho iniziato a raccontare la storia di Mazie come fosse un memoir. Ho buttato giù un’ottantina di pagine e poi ho dovuto interrompere la scrittura: come ti dicevo, sono stata abbastanza presa nella promozione del mio precedente romanzo. Quando mi sono riavvicinata al testo ho come avuto l’impressione che suonasse costruito, non fresco e immediato come avrei voluto. In più, quello che amavo della voce di Mazie era il suo essere estremamente moderna. Quando mi sono documentata, quando ho letto cose su di lei mi sono detta: «Oh, sarebbe potuta vivere adesso, ai giorni nostri». Ho pensato a quale potesse essere il modo per comunicare a un futuro lettore tutto questo, e mi è venuto in mente che una soluzione narrativa percorribile potesse essere il diario. Ma poi ho anche pensato che lei non fosse quel tipo di persona che annota minuziosamente ogni singolo dettaglio, che scrive tutti i santi giorni riempiendo pagine su pagine… Rispettando la sua voce, non avrei avuto materiale sufficiente per il mio libro. Così, un giorno, mi sono svegliata all’improvviso – dovevano tipo essere le due di mattina – chiedendomi: «Chi potrebbe darmi i dettagli che mi mancano?» Ho stilato un possibile elenco: sorelle, vicini, persone che mi avrebbero restituito diversi e molteplici aspetti della vita della vera Mazie. Se ero riuscita a inventare lei, sarei riuscita allo stesso modo a inventare gli altri personaggi. Spinta dall’euforia, mi ero convinta che avrei potuto chiedere qualsiasi cosa a qualunque dei miei personaggi. In realtà mi sono complicata molto di più la vita, perché ho dovuto controllare le tempistiche e calibrare le informazioni. In più, ogni personaggio doveva avere la sua storia. E alla fine tutte le storie dovevano combaciare perfettamente, come in puzzle. Ecco, a essere sincera non è stato un lavoro facilissimo. Avevo risolto un problema e ne avevo creato un altro. Ma è andata bene così: nessuno ha mai detto che scrivere sia una passeggiata.

Da Edie dei Middlestein a Mazie. Mi potrei sbagliare, ma a occhio direi che sarà un’altra donna la protagonista del tuo nuovo romanzo.

Sì, è vero: sarà una donna. Andrea. All grown up, il mio nuovo romanzo, uscirà l’anno prossimo negli Stati Uniti e verrà pubblicato in Italia all’incirca tra un anno e mezzo. Parlerà di una donna single alla soglia dei 40 che ha deciso di non seguire un percorso di vita convenzionale. Non si è sposata, non ha avuto figli: tutto quello che la società ha stabilito come un traguardo nella vita adulta… be’, lei non è riuscita a raggiungerlo. E osserva tutti gli altri, intorno a sé, che invece riescono a conquistare questi traguardi con apparente naturalezza. La maggior parte delle notizie, come capita per chiunque al giorno d’oggi, le viene da Facebook. In poche parole parla di cosa voglia dire davvero crescere.

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