Vuoi scrivere un libro? Raccontarla giusta è l’ebook che fa per te

Hai una storia in testa, ma proprio non sai da che parte iniziare? La pagina bianca ti terrorizza? Oppure è da anni che stai scrivendo un romanzo, ma adesso sei bloccato e non riesci a capire come andare avanti? Ecco, questo post fa per te. Da quando, qualche anno fa, ho aperto Nuvole, la mia casella di posta è stata letteralmente invasa da mail di aspiranti scrittori che chiedevano consigli (o direttamente recensioni) per le loro opere. Finalmente ho la risposta giusta da offrire a chiunque sia alle prime armi e voglia confrontarsi con la scrittura: leggete Raccontarla giusta, l’ebook made in Zandegù scritto a quattro mani da Marco Lazzarotto, scrittore ed editor, e Beatrice Dorigo, libraia in quel di Torino di La Gang del Pensiero. Articolato in brevi capitoli e strutturato attraverso una serie di dialoghi accattivanti – ma non per questo privi di tecnicismi – Raccontarla giusta è un vero e proprio kit di pronto soccorso per scrittori in erba.

Mi raccontate come vi siete conosciuti e com’è nata l’idea dell’ebook?

Marco: Ho conosciuto Bea una decina di anni fa, a una presentazione di Le mie cose – il mio primo romanzo – in una libreria di Torino che purtroppo non c’è più. Ricordo che mi aveva fatto una domanda su Capitan Findus. Da lì sono diventato lettore assiduo del suo blog, Queen of Fuckin’ Everything, e post dopo post ho sempre più apprezzato la sua voce iperbolica e iper-pop. Tant’è che quando me la sono ritrovata tra gli iscritti al corso di Narrativa 101 di Zandegù, cinque anni fa, le ho detto: «Ma tu che ***** ci fai qua?» È diventata una fedelissima, e adesso aspetto che si metta a lavorare al suo romanzo. L’idea dell’eBook è sua. Un giorno ha detto a me e Marianna – la capa di Zandegù – che forse, mettendo in bella i suoi appunti delle lezioni, sarebbe potuto venir fuori qualcosa di interessante. Eravamo entusiasti, ma al tempo stesso non volevamo realizzare un «semplice» manuale.

Beatrice: Mi ricordo la sera della presentazione. Il mio amico Massimo, il libraio, mi aveva detto: «Vieni, è il romanzo d’esordio di un autore torinese, secondo me proprio il tuo genere». Ci ha preso in pieno. Con Marco ho trovato subito anche altri punti di contatto, amicizie in comune – a Torino i sei gradi di separazione si annullano e diventano al massimo due –, musica, film, serie tv e ovviamente letture. Quando ho visto che il corso di narrativa di Zandegù era tenuto da lui ho pensato: figo! E così mi sono iscritta. Alla fine mi sono trovata con questi quaderni pieni di appunti bellissimi e mi sono detta: queste cose sarebbero utili a un sacco di gente, che magari non ha tempo, o voglia, di frequentare corsi. Il mondo deve sapere! Poi Zandegù ha una collana di manuali che spaccano, aggiornati, precisi, piacevoli da leggere.

Raccontarla giusta è una guida pratica, potremmo dire un manuale di autoaiuto per aspiranti scrittori. A fare la differenza rispetto ad altri libri, c’è il dialogo: una costante che viene non solo esaminata al microscopio come tutti gli altri aspetti della scrittura narrativa, ma che ha un suo spazio nel testo stesso. I dialoghi esilaranti e acuti che avete messo in scena fra di voi sono molto efficaci: come vi siete suddivisi il lavoro in fase di progettazione e di stesura?

Marco: Innanzitutto è stato importante impostare una scaletta. Nonostante la divisione in capitoli, il testo non procede a compartimenti stagni come si potrebbe immaginare, ma è molto discorsivo, e l’utilizzo di un dialogo a due voci è stato utile. Nei miei corsi non mi piace andare per blocchi – che so, «Oggi parliamo del personaggio», «Oggi del dialogo», «Oggi dell’incipit» –, cerco sempre di costruire un percorso trasversale rispetto agli argomenti. Dopodiché Bea ha scritto una prima stesura, distribuendo il discorso in domande e risposte; io mi sono occupato della seconda stesura, inserendo delle integrazioni, anche perché nel frattempo avevo approfondito alcuni temi. Così ho apportato nuovi esempi e ne ho tralasciati altri: col passare degli anni e delle edizioni il corso si è affinato, grazie al feedback degli allievi, alle loro richieste e ai loro dubbi.

Beatrice: La cosa bella del dialogo è stata la possibilità di tenere le nostre voci distinte e caratterizzanti: abbiamo dovuto anche però fare attenzione ad amalgamare lo stile perché risultasse comunque fluido. Credo che la sovrapposizione delle scritture in due momenti diversi abbia favorito questo processo di unificazione, dando vita a un tono che non è soltanto mio, né soltanto suo, ma di entrambi.

Fra i tanti libri di testo citati a mo’ di esempio, spicca l’unica serie tv utilizzata alla stregua degli altri modelli narrativi: Breaking Bad. Marco, credi sia importante, per chi oggi vuole imparare a raccontare, seguire le serie tv? Quale apporto possono dare a chi desidera impratichirsi con trama, personaggi e struttura?

Non riesco a fare a meno di parlare di Breaking Bad! Avendolo rivisto parecchie volte – meglio non precisare quante – mi viene naturale inserirlo nelle lezioni. Risulta sempre molto efficace: mi offre la possibilità di spiegare cosa serve a una storia per farla funzionare e per renderla potente. Un personaggio come Walter White è un modello perfetto per la costruzione di altri personaggi. Lo ammetto: negli ultimi dieci anni la mia scrittura è stata fortemente influenzata dalle serie tv – un terzetto in particolare: The Sopranos, Six Feet Under e, appunto, Breaking Bad. E si vede: ho costruito il mio secondo romanzo, Il ministero della Bellezza, come se fosse una miniserie in tre episodi. Ma non consiglio di divorare serie tv l’una dopo l’altra; consiglio solo quelle che hanno un progetto narrativo preciso, costruite intorno ai personaggi, al loro arco di sviluppo, e non – per esempio – sull’accumulo di colpi di scena. Nel momento in cui mi metto a scrivere una storia, ancor prima di sapere come finirà, è fondamentale per me sapere cosa ne sarà del protagonista. In Breaking Bad è chiaro da subito qual è il progetto; fin dall’inizio sappiamo cosa accadrà a Walter White, inutile nascondercelo; e nessuna di queste consapevolezze scalfisce la bellezza e la riuscita della serie.

Beatrice, il tuo lavoro è in libreria, ogni giorno hai a che fare con clienti a cui consigliare storie e autori che possano venire incontro alle loro esigenze. Ma diciamoci la verità, chi vive fra i libri lo fa per un unico motivo: perché li ama. È difficile ritagliarsi del tempo e delle energie – sapendo così da vicino quanto accidentato può essere il percorso di un libro – per scrivere qualcosa di proprio?

Credo che il bisogno di scrivere nasca come esigenza personale, per raccontare una storia. Il bisogno di farla leggere e di pubblicarla è un’altra cosa. Prima c’è la necessità di dire, di scrivere, ed è figlia della stessa passione con cui si legge. Onestamente, da libraia che ha a che fare con una media di duecento uscite alla settimana, il mio primo impulso sarebbe quello di dire: «Smettetela di scrivere! Leggete! C’è già troppa roba in giro!» Poi però c’è quell’episodio, quel personaggio, che ti cammina a fianco sempre, mentre vai a fare due passi, quando prendi la metro, prima di addormentarti, che ti parla nell’orecchio e ti dice: «Ma di me non racconti niente?» L’unico modo per farlo tacere è affrontare la pagina bianca, con buona pace del mercato editoriale. Ecco, forse conoscere quel percorso accidentato di cui parli tu può farti decidere di tenere il romanzo in un cassetto (o sul desktop del tuo computer). Ma purtroppo, o per fortuna, non ti fa passare la voglia di scrivere.

Marco, hai pubblicato dei romanzi, lavori in una casa editrice e tieni dei corsi di scrittura. Come si autoalimentano queste molte anime?

… penso che in realtà si tratti di un’unica anima! Ti dirò, è molto interessante il rapporto di scambio che s’instaura tra la scrittura dei miei romanzi e l’impostazione dei corsi, perché spesso sono i problemi che affronto mentre scrivo – anche gli errori che commetto – che danno il La per la scaletta del corso che sto per tenere. Ogni anno inizio il corso in un modo diverso, perché proprio in quel momento sto lavorando a un romanzo in un modo diverso… Condivido spesso le mie esperienze di scrittore, ma non in senso autocelebrativo: si tratta perlopiù di cose che ho fatto che non andrebbero fatte.

Una cosa che mi è sembrata molto utile di Raccontarla giusta è il fatto che non si limita a dare consigli a chi vuole cimentarsi con la scrittura, ma affronta anche il dopo. Quando un autore alle prime armi ha concluso la sua opera è spesso confuso, teme di sbagliare (e spesso lo fa). Qual è l’errore che proprio un esordiente non dovrebbe fare?

Marco: Di errori se ne fanno parecchi – ne ho fatti, continuo a farne. Secondo me bisogna evitare di pensare che il proprio testo sia pubblicabile da qualsiasi casa editrice. Ognuna di esse possiede una precisa linea editoriale, e anche se abbiamo nella nostra libreria tanti libri editi da quella casa editrice, non significa che il nostro testo debba rientrare nei suoi parametri. Ricordiamoci che il libro è un prodotto, e che le case editrici sono aziende più o meno grandi con l’obiettivo di fare fatturato. E poi il nostro libro può non piacere, ahimè, ma è una realtà con cui si deve fare i conti. Col rischio che poi uno scrittore si metta a studiare a tavolino se l’idea che ha in testa può diventare un romanzo vendibile o meno, quante e quali fasce di pubblico può raggiungere un dato soggetto… C’è anche la possibilità che non sia il momento giusto per un certo tipo di storie o di temi. Bisogna essere attrezzati contro la frustrazione e la delusione, perché potrebbero arrivare. Bisogna imparare a gustare il momento della scrittura in sé, e non pre-gustare quello che potrebbe venirne dopo. La differenza tra «voler scrivere un romanzo» e «voler diventare uno scrittore» può sembrare sottilissima, ma è fondamentale. Ecco, credo che «voler diventare uno scrittore» sia un errore. Quando uno capisce la differenza – che esiste – tra le due cose, cambia tutto.

Beatrice: Tolti rarissimi casi, aver pubblicato un libro non ti cambia la vita, anche se può essere una soddisfazione personale non indifferente. Un errore comune è quello di voler pubblicare a qualsiasi costo – e questa frase è meno figurata di quello che sembra… Io direi a un esordiente: «Non avere fretta. Hai fatto un lavoro che ti è costato fatica e impegno, rispetta quella fatica. Un libro – qui è la libraia che parla! – deve essere curato, ripensato in ogni sua parte, prima di poter approdare al mercato. Forse ti sembra di aver scritto il romanzo del secolo – e può darsi che sia davvero così! – ma nessuno lo vorrà leggere se sarà mal editato, con una brutta veste grafica, pieno di refusi e mal distribuito. Proprio perché i lettori e i librai hanno a che fare con un mare magnum di proposte, devi dare la possibilità alla tua storia di uscire fuori al suo meglio. Conquista il tuo posto su uno scaffale per merito. Lavora sul passaparola, non sullo spam. Ascolta le critiche costruttive e usale per migliorarti. Continua a scrivere. Continua a leggere. Continua a cercare le storie. Sono l’unica cosa che conta».

 

Illustrazione di Tom Gauld

Forse potrebbe piacerti